Caro Presidente Berlusconi
Ebbene si. Sono un inguaribile tifoso del Milan. Di questi tempi non è cosa di cui ci si può sportivamente vantare dati i risultati ottenuti con, e senza, la musichetta di Champions. Ma il Milan è più di una società di calcio. E’ quasi un modello di vita. Le due squadre milanesi sono nate a due lustri di distanza a cavallo del ‘900. Il Milan nacque per primo. L’altra squadra milanese ebbe i suoi natali più tardi. Venne formata da parte dei soci del Milan che non condividevano la scelta della società di quei tempi. Il pomo della discordia era il tesseramento di atleti stranieri. I soci “transfughi” dal Milan battezzarono la nuova entità col nome di Internazionale, per sottolinearne la caratteristica peculiare. Nel corso degli anni le due squadre mantennero fede a queste prerogative e pertanto il Milan era nazionalista e tecnico, la sua antagonista invece più esterofila e atletica. Eccezion fatta per Berlusconi, il Milan ha avuto nella sua storia presidenti più parsimoniosi, l’Inter un po’ più “passionali”. Oggi la mia squadra del cuore sta vivendo un periodo di grossa crisi addirittura peggiore di quella economica che stanno vivendo i mercati finanziari mondiali. Il Presidente Berlusconi non può o non vuole più drogare il bilancio della società facendo fronte direttamente alle perdite d’esercizio e, in accordo con l’Amministratore Delegato Adriano Galliani, ha inaugurato una politica di risparmio che io reputo intelligente, anche se tardiva. Tuttavia, vendere i gioielli di famiglia per fare cassa, affidare la gestione della squadra orfana del suo capitano ad un giovanotto di belle speranze ma privo di esperienza sul campo e una campagna acquisti e cessioni fatta senza un briciolo di competenza calcistica mi sembra un pessimo modo di andarsene via. Passi la cessione dei calciatori migliori, passi anche l’esperimento di far sedere in panchina l’ex responsabile del mercato sudamericano, quello che proprio non ho capito e l’intelligenza si ostina a non spiegarmi è come si può pensare che i problemi del Milan fino allo scorso anno possano essere diventati i punti di forza di questo. Ronaldinho non è riuscito a convincere di essere ancora un atleta, Seedorf è il giocatore più criticato dalla tifoseria, Dida ha uno stipendio di 4 milioni di euro l’anno ed è stato inserito nella lista Champions, Oddo è un calciatore che da almeno due anni non riesce a trovare la serenità necessaria per esprimere il suo valore, Tassotti è il viceallenatore nonché allenatore di una difesa che prende gol da palla inattiva con la stessa facilità con cui il deficit italiano continua a crescere, Inzaghi è il miglior centravanti che ci siamo potuti permettere nelle ultime sciagurate stagioni ma anche il motivo per cui l’unico talento vero che avevamo in squadra dopo Kakà (Paloschi) è stato rifilato al Parma e chissà se potremo mai riprendercelo, Pato ha fatto abbondantemente capire di essere il più bravo del carrozzone e non vuole più rimanere in una società che affonda (chissà quanti altri calciatori brasiliani gli stanno insegnando come ci si deve comportare a Milano per farsi cedere). Ma naturalmente tutto sta andando bene e si tratta solo di un momento sfortunato, i pali e le traverse, le azioni da gol mancate. Il gioco, tuttavia, non c’è. I risultati nemmeno. La sfortuna è un’altra cosa. La squadra che amo e che ha un posto di riguardo nel mio cuore ha uno stile diverso. Non impreca contro i fantasmi e sa prendere le decisioni importanti con la lungimiranza del buon Nostromo. Non naviga a vista nel buio più profondo.
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