domenica 23 agosto 2009

Rivoluzione costituzionale.


Rivoluzione costituzionale.
C’è una forte crisi economica a livello mondiale. Il peso di guerre… anzi, scusate, di operazioni di polizia, di aumento indiscriminato del prezzo del greggio, di disparità di trattamento salariale tra gli Stati nazionali, sta corrodendo e corrompendo la società occidentale così come era stata concepita. Ricordate il primo capitolo della nostra Costituzione? Il nostro è uno Stato fondato sul lavoro. Come si può pensare che vi sia un senso etico, civile, sociale, tra questo concetto e la costante perdita occupazionale e reddituale delle famiglie italiane? Non può. Fa soltanto parte della grande menzogna globale nella quale siamo immersi ogni giorno della nostra vita. La società civile che i padri fondatori della nostra nazione avevano idealizzato non esiste più. E’ morta. Annegata nei vizi e nei capricci di capitalisti che smettono di fare all’amore perché il marito miliardario vorrebbe acquistare uno yacht anziché un transatlantico, di corporation che con le loro industrie uccidono il pianeta con emissioni gassose e radioattive, veleni liquidi e polveri chimiche. In fondo a questi esempi c’è la grande massa di gente comune che non riesce ad arrivare alla fine del mese e si indebita sempre di più con società di malaffare o banche troppo scaltre perché venga loro permesso di continuare ad esistere. Non credevo, da liberista, che un giorno sarei arrivato a sostenere l’esigenza di una rivoluzione ma è così. Abbiamo bisogno di un cambiamento radicale. Il capitalismo imperante, che ha ucciso il ricordo delle nostre radici ed il senso della civiltà, va abbattuto con una spallata poderosa. Un popolo darà l’esempio per tutti e con un effetto domino ad esso ne seguiranno altri. Non saranno gli italiani a ribellarsi. La nostra storia ci insegna che siamo più bravi ad adattarci alle condizioni in cui ci troviamo. E’ per questo motivo che non siamo simpatici ai francesi e per cui auspico che facciano loro il primo passo. Liberté, égalité, fraternité. Ecco ciò di cui abbiamo bisogno anche se non tutti se ne sono ancora accorti.

giovedì 20 agosto 2009

Cento preghiere


Sembrava una di quelle tranquille notti di inizio autunno con l'aria fresca che ti sfiorava la pelle e ti entrava nei polmoni riempiendoti di gioia di vivere. Nel cielo scuro le stelle parevano tanti piccoli fuochi che si accendevano e si spegnevano a seconda della intensità con cui i miei occhi cercavano di fissarle. Le case attorno a me erano molto vecchie e la luce dei lampioni le illuminava implacabilmente, quasi volesse sottolinearlo. E la luna era assente. La Luna, musa ispiratrice di poeti innamorati, mi rendo conto che può sembrare sciocco ma ogni qualvolta la osservo e mi lascio inebriare dai suoi fiocchi raggi, così vivi, eppure insufficienti ad illuminare il globo, mi sento rinascere. La sua vista mi lenisce qualsiasi dolore, mi fa sognare. Ogni volta che splende piena, alta nel cielo mi affaccio alla finestra e cancello in un istante tutti i miei problemi. Sembrava una di quelle tranquille notti di autunno. Ma non era così. Chiusi la finestra dopo circa un'ora di meditazioni profonde. E' curioso, quando mi capita di osservare delle autentiche meraviglie del creato come una cascata, un'impervia montagna, il sole, la luna, gli effetti di un vento impetuoso o chessò altro forse non mi viene da pensare da chi o da che cosa tutto ciò ha avuto origine quanto invece il mio posto in esso. Sono sicuro che, in fondo, tutti noi si è alla ricerca di qualche cosa anche se non sempre sappiamo esattamente dove cercare. E più si cerca di capire, più ci si sforza di trovare, più ci si ostina a lottare e più una soluzione ci appare lontana. Cosa ci faccio qui? Quale posto occupo nell'imperscrutabile stato delle cose? Se fossi una montagna sarebbe tutto più facile, avrei maggior coscienza sul disegno cosmico. Conoscerei esattamente il mio destino, il mio posto in tutto questo. Ma sono un uomo e non sono legato ad un solo luogo della terra e la mia mente si pone costantemente interrogativi ai quali non so dare, molto spesso, delle risposte. Credo di possedere, con gli occhi, una grande maledizione. La vista mi da l'opportunità di percepire i sincronismi del complicato meccanismo della vita sulla terra. Ma non sanno portarmi oltre. Non sanno mostrarmi il mio ruolo. A volte mi capita di odiare intensamente i miei occhi capaci di vedere perfettamente solo il buio e le mie gambe capaci di portarmi nel dappertutto di nessun posto. E tutto quello che faccio dove mi conduce? Alle porte del ventunesimo secolo la razza umana si vanta di aver formato vere e proprie civiltà, di vivere più a lungo e di avere creato le città. Queste ultime occupano un'enorme spazio e forniscono un solido, molto spesso, inutile riparo da eventi che non può in nessun modo fermare. Come sosteneva qualcuno, però, una città è fatta soprattutto di mura, cioè di qualcosa, un ostacolo, che impedisce l'ingresso o l'uscita a qualcos'altro. Non è questo che ci serve. Non è questo che mi serve. Cercare di non pensarci non è la soluzione migliore. Ecco, sapevo che sarei arrivato a tutto ciò. Sono diventato matto. Mi ritrovo terribilmente impacciato, insicuro. Non capisco più nulla, nessuno. Nella sala, l'attesa si faceva sempre più insostenibile. Eppure ero stato io a scegliere tutto questo. Forse per vigliaccheria, per il peso delle responsabilità o chessò altro. Avessi fede in qualche cosa potrei mettermi a pregare ma non ci riuscirei. Per tutta la mia vita ho cercato di rendermi invulnerabile. Una ricetta che mi facesse sopravvivere al mio tempo. E l'ho trovata. Ma non sono ancora soddisfatto di me stesso. Mi manca la passione, il respiro dell'esistenza. Non sono mai riuscito ad avere bisogno degli altri. Solo oggi che ho un tremendo bisogno d'aiuto, mi sento vulnerabile come la più minuscola ed indifesa delle creature della terra e la cosa mi sconvolge e confonde al tempo stesso, mi rendo conto di quanto sia sbagliato questo mio atteggiamento. Anche se ciò fa pugni con tutta una parte della mia vita. Ma per la prima volta non mi importa nulla di me stesso, di ciò che sono, di ciò che ho. Persino l'attesa, sottile tortura psicologica, diventa più dolce del miele. Mi senti mondo! Oggi porgo il fianco alla vita. Non ho più paura delle tue stoccate. Non mi preoccuperò per il dolore, anzi lo voglio assaporare tutto per intero. Perché anche il dolore è frutto della passione e frenetico respiro dell'esistenza. Un rumore proveniente dal corridoio mi riporta alla realtà. Una porta si apre. Una donna approssimativamente dell'età di 50 anni mi invita a seguirla. Spegnerei volentieri una cicca di sigarette in terra. Ma non fumo. Ringrazierei Dio con una,cento preghiere. Ma non credo. Tirerei un sospiro di sollievo. Ma ho i polmoni letteralmente bloccati. Forse correrei se non avessi le gambe legate al suolo da robuste ed invisibili catene. Eppure, in qualche modo, riesco a divincolarmi. La donna mi precede spedita ed io non le sono da meno. Non so bene da dove arrivi tutta questa calma, questa serenità che pervade la mia anima in questo momento ma quando si apre davanti a me anche l'ultima porta e vedo la donna della mia vita sdraiata su di un letto, provata, eppure ancora così forte, e con accanto una creatura che per orgoglio ed egoismo definisco "mia", forse incomincio a capire. Mi precipito al capezzale del letto di mia moglie, più bella che mai, ed ella mi sorride soddisfatta e con un cenno del capo mi mostra il frutto più bello dell'albero della nostra unione. Poco tempo prima mia moglie mi aveva raccolto come si raccoglie un tenero cucciolo di uccellino cascato dal nido per ricongiungerlo ai suoi genitori. E tra un frusciare di ali e cinguettii stavo incominciando a capire. Sì finalmente ho capito. L'orgoglio e l'egoismo scompaiono lasciando il posto alla consapevolezza. E' bastato guardare negli occhi di mia moglie più profondamente del solito per capire che Egli esiste. Ma non ho più tempo per i pensieri sterili ed inconcludenti. Ho una famiglia “numerosa” che mi aspetta e cento preghiere con cui ringraziare un Amico.

lunedì 10 agosto 2009

Fantasia o realtà?


Che cosa hanno in comune i ladri di biciclette di Zavattini, il cuore della Tamaro, il verismo di Verga, i cine-panettoni di De Sica? Mi capita spesso di incontrare delle persone di nazionalità italiana refrattarie alla lettura dei miei libri ed a quelli di tanti amici scrittori. Da loro ricevo una critica interessante e degna di nota. “Noi siamo per la realtà”. In questo modo mi viene detto che scrivere libri di fantascienza o ispirarsi alla letteratura fantastica, fantasy, è una scelta commercialmente inadeguata al mercato italiano. Il cinema, la letteratura nostrana, sembrerebbero improntate su di un verismo privo di qualsiasi fronzolo, di un orpello di fantasia. E’ una particolarità tutta italiana. Non è un bene. Non è un male. E’ una scelta che ci distacca dal resto dell’Europa e dal continente americano. Ancor più singolare è il fatto che questa caratteristica è in netto contrasto con la nostra più tipica e riconosciuta capacità. Perché un popolo che fa della fantasia la sua peculiarità si diverte, si rilassa, si distrae, impara e si forma con strumenti culturali che raccontano episodi di vita vissuta o perfettamente vivibile? Curioso fatto. Risposta alla domanda ignota. Dal canto mio continuerò a scrivere libri di avventure, elaborerò metafore, mi ispirerò alla letteratura fantastica di stampo americano. Chi acquisterà un mio romanzo avrà per le mani due chiavi di lettura. La prima è la superficie della metafora. In essa il lettore scoprirà una storia fatta di avventura, di azione mozzafiato, di suspence, di mistero. La seconda, la più profonda e ricca di significati, si trova tra le righe e presuppone uno sforzo intellettivo. In effetti, leggere un mio romanzo è un po’ come fare le parole crociate e al contempo essere immersi in una riflessione su di un tema sociale e contemporaneo di vitale importanza. Chi ricerca il puro divertimento può giocare e divertirsi con quello che legge. Chi ricerca qualcosa di più ed ha voglia di osare può interpretare la metafora e riflettere sul suo contenuto. I miei libri, i miei romanzi, le mie storie, si rivolgono agli italiani più esigenti, a quelli che non si accontentano. Mai. A loro auguro una buona lettura. Ed anche a tutti gli altri.

domenica 2 agosto 2009

Tanto è così dappertutto.


Nonostante ciò che ho imparato a scuola ho recentemente scoperto che un assegno circolare emesso da una banca in favore di un proprio correntista impiega 5 giorni ad essere monetizzato nel suo conto. Gli assegni normali, a debito, vengono immediatamente pagati a qualunque sconosciuto si presenta allo sportello. L’obiettivo di questo stranissimo comportamento sta nel fatto che l’obiettivo di una banca è quello di vendere soldi e quindi trova vantaggioso mettere i propri correntisti in una situazione debitoria. In fin dei conti si tratta di un altro modo di fare dei prestiti ribaltando il rapporto con il titolare del conto. Non solo le banche pagano ai correntisti un interesse molto più basso delle commissioni e delle spese che servono per il mantenimento dello stesso ma addirittura cercano di costringere i propri clienti a prendere in prestito del denaro di cui non hanno bisogno. Disgustato per la scorrettezza dimostrata dalla mia banca ho deciso di rivolgermi ad un concorrente e gli amici e gli operatori del settore, quasi fossero stati un esperto coro di voci bianche, mi hanno consigliato di lasciar perdere perché “tanto è così dappertutto”.
La città dove risiedo non è certo famosa per tornado, trombe d’aria, uragani, eppure mi capita spesso che basta la presenza di una nuvola in cielo perché venga interrotto il servizio telefonico di un importante gestore nazionale. Secondo contratto (stipulato telefonicamente e quindi…) i tecnici hanno un massimo di 4 giorni lavorativi per risolvere il mio problema. Non avendo stipulato un contratto Business (in questo caso, almeno a parole, si garantisce una maggiore rapidità) rimango senza possibilità di collegamento alla rete, senza possibilità di effettuare o ricevere telefonate, di vedere i canali televisivi che necessitano di decoder per diversi giorni. Il limite massimo, ovviamente, diventa la prassi e non un evento straordinario. Seccato per la scorrettezza della società che pago perché mi fornisca il servizio di cui ho bisogno ho paventato l’ipotesi di cambiare gestore. Ancora una volta il coretto vox populi è stato lo stesso: “lascia perdere perché tanto è così dappertutto”.
Ho vinto una causa civile ed ho diritto ad un risarcimento danni ma la ditta soccombente non paga e nella mia stessa situazione ci sono tantissimi altri connazionali. Il titolare della società in questione è la massima figura istituzionale del CNA regionale. Quest’uomo perora la causa di tante ditte artigiane che in questa crisi rischiano di scomparire perché le banche non agevolano sufficientemente il credito. La banca che ha la maggiore esposizione nei suoi confronti è “la mia banca”. Si potrebbe tranquillamente affermare che, con il mio lavoro, sto prestando soldi a chi non me li restituirà mai. Quando ne parlo con qualcuno mi sento ripetere la solita solfa: “lascia perdere perché tanto è così dappertutto”.
Leggo il giornale e il mio umore non migliora. Gli articoli che scorrono davanti ai miei occhi mi mostrano una società scorretta, ipocrita e castista. Arrivo fino all’ultima pagina e mi accorgo che manca un’articolo. Mi riguarda. E’ quello in cui decido di non pagare le tasse e decido di smetterla di comportarmi con senso di responsabilità, con correttezza, onestà e civiltà. Il motivo? “Tanto è così dappertutto”.