giovedì 30 aprile 2009

Vuoi pubblicare un libro? Còmpratelo... (3a parte)


Continuando nel memorandum, l'editore comincia a dettagliare la propria tesi usando dei numeri (finalmente) e lo fa in maniera apparentemente ingenua. Afferma, infatti, che delle copie vendute incassa "solo" il 25-30% del prezzo di copertina (il prezzo è cosa ben diversa dal costo, intendiamoci). A conti fatti, sta dicendoci che il suo guadagno varia da un quarto del prezzo di copertina ad un terzo. E allora? Esistono attività commerciali ed imprenditoriali dove il guadagno è molto più ridotto. Ma c'è di più. Vorrebbe farci credere che tale percentuale è esigua quando solamente poche righe più sopra (cinque per l'esattezza) indica l'ammontare dei diritti d'autore: 5-6% per i nuovi autori,10-12 per quelli affermati. Ingegnoso. Come può chiedere ad un autore di ragionare da imprenditore investendo denaro per ricavare il 10% dell'incasso, quando va bene, se poi afferma che il 25-30% (cioè più del doppio) è un ricavo ingiusto? Il concetto che vorrebbe farci comprendere è che, siccome ritiene che il suo guadagno è basso, è giusto che a pagare i costi fissi (cioè la fattura del tipografo) sia l'autore, reo di avergli proposto un libro così bello che non egli ha potuto trattenersi dal desiderare di vederlo pubblicato. E naturalmente, per questo motivo decide di spedire un documento di accordo editoriale.
Il capitolo successivo del memorandum è denso di retorica spicciola. L'autore del testo ripete ossessivamente alcune domande, saggiando il nostro grado di informazione sulla "dramma" che vive l'editoria italiana. Prepara il lettore alla quasi inevitabile conclusione. Dando per assodato che le percentuali di vendita e regalìe assorbono il 60% del prezzo di copertina (e perché mai in un paese in cui non si legge è fondamentale regalare qualcosa?) afferma che tra gli editori strangolati dal sistema di vendita e i lettori che protestano per i prezzi troppo alti si stabilisce un comune, tacito, accordo. Entrambi rinunciano al libro.
Nel capitolo successivo viene rimarcato come il sistema di vendita sia penalizzante ma, involontariamente, si continua a fare un distinguo. Si sostiene che il costo per la collocazione di un libro non è fisso. Ora, se si paga un intermediario solamente se il libro viene venduto questo è un vantaggio non indifferente rispetto ad altri settori produttivi. Facciamo un esempio: se io costruisco automobili lo faccio in base al numero di ordinazioni. Compero un capannone, acquisto del macchinario, pago degli operai e dei venditori. Poi, praticamente, costruisco su ordinazione. Ciò non toglie, però, che se il manufatto non ottiene il favore del pubblico giace invenduto oppure le ordinazioni cessano di giungere al mio ufficio vendite. Questi costi, interamente sostenuti, vengono sopportati dall'azienda che deve rifarsi immettendo sul mercato nuovi modelli di automobili in grado di accattivarsi le simpatie degli acquirenti. A questo punto rimane chiaro che il solo vero costo fisso per un editore è la stampa. Naturalmente, questa spesa è più opportuno che a sostenerla sia qualcun altro. E il rischio d'impresa? Lo sostiene chi paga e cioè l'autore. E i ricavi delle vendite? Vanno all'editore. I costi variabili? L'autore, il distributore, il libraio, vengono pagati solamente a vendita effettuata. Quanti tipi di impresa possono contare su questo vantaggio? Nessuna.

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